Una Regina di Portogallo, di nome Isabella, divenne famosa per la sua bontá e la sua abnegata pratica della caritá.
Succede peró che a suo marito, il Re D. Diniz, non piacevano le uscite della Regina, per le vie della miseria.
Molto meno le distribuizioni che lei faceva ai poveri. Non poteva ammettere che una nobildonna lasciasse il trono degli onori umani per mescolarsi a una moltitudine di malati, affamati e mal vestiti.
La buona Regina, ció nonostante, si faceva beffe della guardia dei soldati e delle dame di compagnia e andava in cerca del dolore nelle baracche sudicie, portando se stessa e tutto quello che riusciva a caricare dal palazzo.
Non portava le serve con sé, perché questo sarebbe stato come chiedere loro di disobbedire agli ordini reali.
Quello che lei faceva, secondo il marito, era umiliante. Com'era possibile che una Regina, nata per essere servita, realizzasse il lavoro dei servi, caricando sacchi di alimenti, vestiti e medicine?
Un certo giorno, lui stesso si mise a spiare. Risolvette coglierla di sorpresa nella sua disobbedienza. Vide quando lei entró nella dispensa del palazzo e riempí il grembiule di alimenti.
Mentre lei andava verso i giardini del palazzo, con l'intenzione di raggiungere la strada polverosa, per mettersi alle calcagna della fame, lui uscí d'improvviso dal suo nascondiglio e le chiese:
Dove va, signora?
Lei si fermó, in un primo momento spaventata. E visto che lei si attardava a rispondere, alteró la voce e con un'aria di accusa, domandó:
Che perta nel grembiule?~
Arrosendo un po', ma con voce ferma, lei finalmente rispose:
Sono fiori, mio signore!
Voglo vedere! Disse il re, quasi infuriato, sentendosi ingannato.
Lei abbassó il grembiule che teneva fra le mani e lasció cadere il suo contenuto a terra, in un gesto lento e delicato.
Come per incanto, rose di diverse tonalitá e dal profumo intenso colorirono il pavimento.
Si dice che il Re non tentó mai piú di impedire alla Regina di praticare la caritá.
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Per chi patisce le amarezze della fame, sentendo lo stomaco reclamare del vuoto che lo consuma; per chi ascolta, soffrendo, le richieste dei figli di un pezzo di pane, un cucchiaio di riso, qualsiasi alimento che calmi le necessitá é come una medicina portentosa.
Per chi sta passando la notte dell'angustia ai piedi del letto di un figlio delirante di febbre, le gocce della medicina sono il condensato della speranza del ritorno alla salute.
Per chi sente le grinfie affilate dell'inverno tagliargli le carni, ricevere un mantello che lo protegga dal vento gelido é una fortuna.
Per questo, chi porta pani, vestiti e conforto é come se portasse fiori profumati di varie tonalitá di colori.
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Molti affermano che dare delle cose é alimentare la pigrizia e stimolare l'accomadamento.
Nonostante ció, bocche affamate e corpi malati non possono fare a meno del giusto cibo e della medicina adeguata.
Se vogliamo persone attive, coinvolte nel lavoro, bisogna dar loro le condizioni minime. Non si puó insegnare a pescare a qualcuno che non ha neanche la forza per tenere la canna da pesca.
Redazione del Momento Spirita