Quando arriva la primavera, ci estasiamo davanti a tanta varietá di colori e profusione di vita.
Con straordinaria allegria, salutiamo la stagione dei fiori, dei profumi, dei doni preziosi del sole, dei giorni ameni, dei cantici dei passeri.
Viviamo intensamente la stagione primaverile, pur coscienti che, in pochi mesi, tutto ció svanirá, che arriverá l'inverno con le sue giornate gelide e grigie.
Pur coscienti che i fiori appassiranno nei giardini, che gli alberi resteranno spogli delle loro foglie, mostrando le loro braccia nude.
Viene da chiederci perché non ci rattristiamo piú di tanto davanti a questo cambiamento perenne che si manifesta nei paesaggi della natura.
Forse perché tutti siamo pienamente coscienti che le stagioni si succedono, periodicamente, e che, passato l'inverno, con i suoi manti di gelo, la primavera tornerá a cantare nuovamente i suoi osanna al mondo.
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Se questo accade nella natura, perché lo stesso non puó succedere fra gli esseri umani, figli di un Padre amorevole e buono?
Perché insistiamo ancora sul fatto che, dopo la morte fisica, non esiste null'altro?
Ricordiamoci di Gesú, insegnando a proposito dell'erba dei campi, che Dio veste in maniera magnífica, l'erba che oggi rinverdisce i campi e domani, sará gettata nel fuoco, perché ormai secca.
Lui ci chiede, in sintesi: Non siete per caso voi, figli del Padre Celeste, molto piú importanti?
La scienza ci insegna che, in questo mondo, neanche la piú minuscola particella atomica scompare senza lasciar vestigio. Nulla si perde, tutto si trasforma.
Perché dovrebbe essere diverso con l'anima dell'uomo, creata a immagine e somiglianza di Dio?
Dio é eterno, l'anima é immortale. Somiglianza. Perché mai l'uomo studierebbe tanto, si perfezionerebbe, lotterebbe, amerebbe, diventerebbe grande sulla Terra per poi finire in una tomba? O in una semplice manciata di ceneri, gettate al vento?
Sarebbe forse l'uomo destinato soltanto alla finitezza, a perire, in maniera irrimediabile, dopo cinquanta, settanta o cent'anni sulla Terra?
Se tutto vive, rivive, si trasforma, risorge al di lá, perché dovrebbe essere diverso con lo Spirito?
Tutto ció ci riconduce al modo in cui affronntiamo la morte. Quando parte un ente a noi caro, piangiamo come se fosse una perdita irreparabile.
Alcuni di noi si ribellano. Accusano Dio di essere un patrigno, nel senso piú preconcettuoso della parola.
É giusta la tristezza per via della separazione da colui che realizza, prima di noi, il grande viaggio verso l'Aldilá.
Eppure, non dobbiamo piangere troppo per i nostri cari morti. Come ben ci insegnano le anime di luce, la tristezza che si prolunga é una tacita censura che facciamo verso il Creatore.
Pensiamo a questo. Ricordiamoci della notte che soccombe davanti all'alba di luce. Ricordiamoci della primavera che esplode con i suoi fiori e colori, dopo essersi addormentata, nella stagione invernale.
Ricordiamoci del bruco che risorge in un'alata farfalla.
Siamo immortali. I nostri cari morti vegliano. Ci guardano, continuano a nutrire per noi gli stessi sentimenti. E ci aspettano.
Preghiamo per loro, inviamogli le nostre vibrazioni d'affetto, abbracciamoli con le nostre preghiere.
Fra non molto, torneremo a stare insieme, nell'Aldilá o su questa Terra benedetta da Dio.
Redazione del Momento Spiritista., sulla base dell'articolo
Quando parte alguém querido, di Mário Frigéri, dalla rivista Reformador,
ed. FEB, marzo del 2015.
Traduzione di Fabio Consoli.
Il 7.8.2020.