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Momento Espírita
Curitiba, 05 de Maio de 2024
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ícone Il gioco del nascondino

In un vecchio quaderno, un bambino ha scritto: Mamma, quanto ti voglio bene.

E quanto mi manchi. Mi sembra di vedermi, piccolino, provare i primi passi. Un piede qui, l'altro là. Barcollavo e cadevo.

Bastava che mettessi il broncio pronto a piangere e sentivo le tue braccia sollevarmi, abbracciarmi e mi dicevi: "Non è successo niente. Continua a camminare."

Ricordo i tanti giochi che facevamo insieme. Io che correvo e tu che fingevi di correre per raggiungermi. All'improvviso, mi afferravi e mi sospendevi tra le tue braccia.

Io mi sentivo come qualcuno in cima al mondo, più in alto di tutti gli altri. Guardando tutto dall'alto.

Ma il gioco che mi piaceva di più era il nascondino. Io mi nascondevo dietro la tenda e tu ci mettevi un bel po' di tempo a trovarmi, andando da una parte all'altra, chiedendoti: "Dove sarà quel bambino?!"

Ed io restavo lì, trovando tutto molto divertente. Non mi rendevo nemmeno conto che i miei piedi mostravano da lontano dove mi nascondevo.

Quando eri tu a nasconderti, cercavo negli stessi nascondigli che conoscevo.

A volte, ci mettevo un bel po' a trovarti. Diventavo triste. Pensavo: " Mamma è andata via".

In quel momento apparivi tu, uscendo da dietro la porta semiaperta o il divano del soggiorno, sorridente. E tutto finiva bene.

Ero un bambino felice. Molto felice.

Fino al giorno in cui hai inventato un gioco diverso. Stavi ferma, muta, non parlavi.

Molte persone sono venute a casa. Ti hanno toccato, ti hanno parlato. Ma sei rimasta immobile. Non ti sei mossa, non hai parlato.

Ho pensato: "Credo che mamma stia giocando alle belle statuine. E che statua vera sta imitando."

Poi sono arrivate altre persone e ti hanno messo in una brutta macchina nera che hanno cercato di decorare con dei fiori. Ma è rimasta brutta.

Qualcuno mi ha detto: "Non essere triste. Tua madre è andata a nascondersi.»

Così sono andato a cercare e cercare. Ho provato a scoprire dove ti aveva portato la macchina. Ho camminato molto e ho guardato dietro ogni albero, ogni cespuglio.

Niente. Sono rimasto sulla strada, seduto. E ho pianto. Non sei apparsa mai più.

Mi sono davvero arrabbiato per quel gioco delle belle statuine e del nascondino.

Spero ancora che torni, mamma, così potrò tornare a sorridere.

Dove sei, mamma?

*   *   *

Quanto dolore negli scritti di un bambino a cui non è stato spiegato il fenomeno della morte.

La morte, davvero dolorosa, in quanto costituisce la scomparsa fisica della persona amata, dovrebbe essere materia da insegnare, fin dalla più tenera età.

Perché non c'è niente di più certo nella vita. Chi nasce, prima o poi, muore.

A volte, per non traumatizzare i piccoli, li inganniamo, dicendo loro che la persona sta viaggiando, che è andata a fare una passeggiata.

Questo li lascia nell'ansia dell'attesa. Un'attesa senza fine.

Quanto sarebbe meglio per noi insegnare loro la vita che non muore mai. Che dicessimo loro che quando qualcuno che amiamo muore, continua insieme a noi, nei nostri cuori.

Che potranno parlargli, rivolgergli le loro preghiere, dirgli quello che sentono e come si sentono.

Di sicuro, tutto sarebbe più lieve e, con il passare degli anni, la morte perderebbe i suoi dolorosi veli neri di mistero.

Pensiamoci.

Redazione del Momento Spirita, ispirata dall'articolo
Brinquedo de escondê, di Lulu Benencase, del
Boletim Informativo FAEP, nº 1388.
Traduzione di Fabio Consoli
Il 29.5.2023.

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